Senza denti a causa delle gravi atrofie ossee? da sempre costituisce una scommessa e una sfida per il chirurgo l’impianto di una dentiera fissa
Senza denti a causa delle gravi atrofie ossee? da sempre costituisce una scommessa e una sfida per il chirurgo l’impianto di una dentiera fissa
Il trattamento implantare nel caso di una grave atrofia ossea da sempre ha costituito una scommessa e una sfida per il chirurgo.
I classici impianti dentali, quelli che prevedono l’inserimento di una vite nello spessore osseo, ovvero quelli catalogati come impianti dentali endossei, sono stati la pietra miliare dell’implantologia e per lungo tempo gli unici praticati.
Gli impianti dentali endossei sono tutt’ora i più praticati nei casi che non presentano complessità come la scarsità di osso.
Tuttavia, in presenza di difficoltà legate ad una disponibilità ossea insufficiente per l’inserimento di un impianto dentale tradizionale a partire dagli anni novanta si è fatto un intenso ricorso a pratiche rigenerative.
La rigenerazione ossea tuttavia presenta controindicazioni non trascurabili come interventi invasivi, lunghi tempi di recupero e soprattutto l’incertezza del risultato finale.
Per risolvere il problema dell’atrofia ossea di recente si è cercato invece di utilizzare al meglio l’osso residuo dall’estrazione dentaria usando nuovi strumenti e tecniche implantari.
Queste metodologie fanno ricorso a impianti corti o inclinati; un esempio di questo tipo di tecnica è l’impianto zigomatico, dove si impiegano viti di lunghezza maggiore per fissarle proprio alle ossa degli zigomi.
In ogni caso l’implantologia endossea, ha sempre bisogno comunque di un substrato necessario al suo espletamento.
In alcune atrofie molto accentuate, il chirurgo deve calcolare anche il costo biologico che un paziente deve pagare, oltre ad altri parametri, che spesso ne sconsigliano il trattamento.
L’implantologia iuxtaossea di fatto rappresenta una terza via di trattamento, in grado di soddisfare molti requisiti. Lo scopo della presente trattazione è fornire una dettagliata panoramica su questa antica metodica, riveduta e corretta in una visione moderna.
Il problema dell’atrofia ossea restava in ogni caso complesso da risolvere con l’implantologia endossea, per questo motivo con il brevetto Eagle Grid abbiamo affrontato la questione da un altro punto di vista.
Eagle Grid consiste infatti in un impianto di tipo NON endosseo, che sfrutta l’intimo appoggio ad una struttura scheletrica nella sede sottogengivale, invece di pretendere di integrarsi all’interno dell’osso.
E’ una tecnica riservata alla risoluzione di gravi atrofie ossee verticali e trasversali, dove non è possibile eseguire una implantologia endossea e dove la terapia rigenerativa è sconsigliata.
Il protocollo iniziale prevedeva:
La scheletrizzazione del segmento osseo in oggetto, ovvero lo scollamento della gengiva dalla sua sede per permettere l’esposizione dell’osso
Il rilevamento del calco, ovvero la presa dell’impronta dell’osso con materiali il più possibile idrofili, tenendo in considerazione il sanguinamento ed il tipo gesso
Suturazione sommaria temporanea (in attesa che il laboratorio producesse la struttura metallica per fusione a cera persa. Questo avveniva generalmente in lega vile, realizzandolo in stellite ecromocobalto)
Tendenzialmente entro 12 ore il posizionamento della griglia nella sua sede definitiva all’interno della bocca del paziente sfruttando l’ancoraggio di precisione con l’osso pur prevedendo un minimo margine di tolleranza
Protesizzazione con denti provvisori in resina agganciati ai monconi già precostituiti della griglia iuxtaossea
Il successo di tale procedura era purtroppo molto incerto sia nel breve che nel lungo periodo: vediamo di capire meglio il perché.
L’insuccesso era determinato dall’instaurarsi di decubiti ossei, vere e proprie lacune ossee che spesso andavano incontro a infezione batterica.
Questo inconveniente poteva causare enormi rarefazioni che potevano dare luogo anche in vere e proprie osteomieliti, responsabili della rimozione di tutta o parte della struttura della griglia.
Principalmente le cause dell’insuccesso della procedura erano di due tipi:
Vero questo massimamente in alcune zone del cavo orale, come il mascellare superiore o la zona linguale mandibolare.
Di minor entità era invece il danno generato dall’esposizione della struttura in aree limitrofe ai monconi; evento spesso asettico cui si poteva porre rimedio con una chirurgia ambulatoriale.
Un ulteriore elemento di criticità era la progettazione del disegno della struttura che veniva spesso demandato all’odontotecnico.
Oltre ad essere deontologicamente scorretto, imponeva al dentista delle scelte non condivise.
La prognosi poteva migliorare se la griglia veniva unita mediante la protesi a denti o impianti endossei tradizionali.
Altro fattore critico poteva essere il metallo di fusione che poteva sviluppare fenomeni di ipersensibilità o allergia in pazienti soggetti a cromatosi; evento abbastanza raro ma non trascurabile, e comunque spesso non prevedibile.
Un miglioramento sostanziale si è verificato cambiando il metallo di fusione e passando all’utilizzo del titanio, anche se di contro presenta alcuni inconvenienti e difficoltà di gestione in ambito odontotecnico.
Le pubblicazioni scientifiche relative a queste applicazioni hanno trovato massima diffusione fino agli inizi del 2000, successivamente l’utilizzo dell’impianto iuxtaosseo o sottoperiostale è stato abbandonato dai più.
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